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Bonucci, la verità senza filtri: retroscena con Allegri, tensioni a Cardiff e lo sgabello di Oporto

bonucci

Leonardo Bonucci, con il suo racconto schietto e dettagliato, riporta in luce alcuni dei momenti più intensi della sua carriera, ma soprattutto getta una nuova luce sui rapporti mai del tutto risolti con Massimiliano Allegri durante la sua prima parentesi alla Juventus. In un’intervista concessa a Prime Video, alla vigilia di un importante impegno di Champions League tra Juventus e Manchester City, il difensore svela episodi e retroscena che offrono una chiave di lettura diversa delle note vicende interne allo spogliatoio bianconero degli anni passati.

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Un rapporto incandescente con Allegri

Bonucci è chiaro: tra lui e Allegri, il rapporto si era spezzato, segnando di fatto l’inizio della fine del suo primo ciclo in bianconero. Ma cos’è realmente accaduto? Tutto inizia in modo quasi banale, durante Juve-Palermo del 17 febbraio 2017. Il racconto di Bonucci suona come un film d’azione in cui, per un dettaglio, scoppia l’incendio:

«Claudio Marchisio stava rientrando da un lungo infortunio al crociato ed era stremato intorno all’ora di gioco. Io gli dicevo di farsi sostituire, ma lui niente. Così ho fatto cenno alla panchina di toglierlo, segnalando che l’8 era allo stremo. Allegri, però, non fece il cambio sperato: sostituì Sturaro con Rincon, ignorando i miei gesti. Io insistevo, gesticolavo ancora per fare capire che era Marchisio quello da salvaguardare. A quel punto il mister mi mandò a quel paese, urlandomi “Sei un c…e, pensa a fare il giocatore!”». Ecco il punto di rottura. La tensione esplode a fine partita, con Bonucci che cerca di raggiungere Allegri negli spogliatoi, venendo fermato dal vice Landucci. «Lo spinsi via – confessa Bonucci – e mi precipitai verso Allegri. Volarono parole pesanti finché non ci separarono».

Un episodio incendiario, troppo grande per essere messo a tacere. Dopo quella serata, l’equilibrio fra il difensore e l’allenatore non è stato più lo stesso.

Lo sgabello di Oporto, un segnale (in)volontario

Bonucci prosegue il racconto toccando un altro episodio divenuto simbolico: la sua “tribuna” a Porto negli ottavi di Champions League. Allegri, infuriato, voleva escluderlo dalla rosa. La società media: il difensore rimane, ma non scende in campo. «Vengo mandato in tribuna – spiega Bonucci – ma non mi accomodo su un normale seggiolino: prendo uno sgabello, volevo avere la libertà di muovermi. È stata una sciocchezza, ma ha avuto un grande impatto mediatico. Quella sera diventai l’uomo dello sgabello, un’immagine che simboleggia un rapporto ormai compromesso».

In un contesto come quello della Juventus, ogni dettaglio conta. E lo sgabello di Oporto diviene, suo malgrado, un emblema della frattura tra giocatore e tecnico. Alla fine, gli accordi interni fanno sì che Bonucci resti in squadra, ma la fiducia è spezzata. Basta poco perché l’equilibrio, già precario, si sfaldi definitivamente.

Cardiff, il punto di non ritorno

La Juventus di Allegri chiude quella stagione con la finale di Champions League a Cardiff, contro il Real Madrid. Una gara che finirà male per i bianconeri (1-4), ma non solo per il risultato. È lì che la situazione tra Bonucci e l’allenatore precipita. «Prima della finale – spiega il difensore – a me avevano fatto intendere che ero un patrimonio importante per la società, e che il mister era in scadenza. Poi gli rinnovano il contratto prima di Cardiff. Era comprensibile premiare Allegri per i risultati, ma così hanno smentito il messaggio dato a me».

Ma c’è di più. Dopo il ko con i Blancos, gira voce di uno scontro nello spogliatoio, di un Bonucci che avrebbe creato problemi. «Chiesi a Marotta, il direttore sportivo dell’epoca, di smentire perché non era successo nulla. Mi disse: “Noi non dobbiamo dire niente”». Una scelta che ha lasciato il difensore solo, in balia delle interpretazioni esterne, spingendolo infine a prendere una decisione drastica.

La scelta del Milan: un addio sofferto

Così, Bonucci sceglie di andare via, di lasciare la Juventus per trovare altrove serenità e riconoscimento. Il Milan diventa la nuova casa, seppur per una stagione, in un trasferimento che scosse il calciomercato estivo: uno dei pilastri della Juve prende la via di Milanello, sconvolgendo gli equilibri della Serie A. Eppure, dietro quel cambio di casacca non c’era solo la volontà di trovare più spazio o un ruolo centrale. C’era la ricerca di un ambiente diverso, meno tossico dopo mesi di tensioni interne e silenzi non spiegati.

Il trasferimento si trasforma in un caso mediatico, con tifosi juventini delusi e milanisti entusiasti. Un affare che, alla fine, non darà i frutti sperati a nessuna delle parti, spingendo Bonucci a tornare a Torino l’anno successivo, ma senza la stessa armonia. Non è un mistero che l’esperienza rossonera sia stata meno felice di quanto si sperasse, ma resta l’emblema di quanto profonde fossero le ferite interne.

Una lezione per il futuro

Ora, a qualche anno di distanza, Bonucci si espone, svuota il sacco e racconta le verità da tempo custodite nel backstage bianconero. Lo fa in un momento particolare, alla vigilia di una sfida di Champions delicata per la Juventus contro il Manchester City, come se volesse liberarsi da un fardello che gli pesava ancora addosso.

Le sue parole ci ricordano che il calcio non è solo uno sport, ma un palcoscenico di rapporti umani, equilibri fragili e giochi di potere. Un allenatore e un giocatore che si affrontano verbalmente, un compagno in difficoltà non sostituito, un presidente che deve scegliere da che parte stare, una dirigenza che resta in silenzio anche quando sarebbe il momento di agire. Tutto questo concorre a formare l’immagine di una squadra e a determinare il suo successo o il suo insuccesso.

L’importanza della comunicazione interna

L’episodio del rigore non dato a Marchisio o lo sgabello di Oporto diventano simboli più che semplici aneddoti. Rappresentano il fallimento di una comunicazione interna, di una sintonia che dovrebbe esistere tra staff tecnico, giocatori, dirigenza. E probabilmente, se quel dialogo fosse stato più aperto, se gli scatti di tensione fossero stati sedati sul nascere, la storia avrebbe preso un altro corso. Forse Bonucci non avrebbe mai lasciato la Juventus, forse il club non avrebbe dovuto gestire una ferita che ha lasciato strascichi.

Un finale ancora da scrivere

Il difensore, oggi bandiera del retroterra bianconero, non esclude che il suo percorso con la Vecchia Signora non sia terminato. «Forse il mio percorso alla Juve non è ancora terminato», afferma. Una dichiarazione che apre spiragli per il futuro, che fa intendere che certi legami non si spezzano mai del tutto. Chi lo sa se un domani, in un altro ruolo o in altre circostanze, Bonucci e il club che lo ha consacrato non si ritroveranno.

Nel frattempo, le sue parole restano a monito per chi crede che nel calcio contino solo i gol, le formazioni, i trofei. In realtà, sono i rapporti umani, la fiducia, il rispetto e la comunicazione interna a fare la differenza nel lungo termine. E la storia di Leonardo Bonucci, con quel litigio con Allegri, con quella partita a Oporto dalla tribuna anomala, con quella finale di Cardiff carica di tensioni, ce lo ricorda con forza. Il calcio è fatto di dettagli, e i dettagli, a volte, possono cambiare un destino.

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