Edoardo Bove, il giovane centrocampista della Fiorentina, può finalmente tirare un sospiro di sollievo. Il peggio è passato, e con l’intervento di impianto di un defibrillatore sottocutaneo, effettuato presso l’Unità di terapia intensiva cardiologica (Utic) dell’ospedale Careggi di Firenze, il giocatore sta per lasciare alle spalle giorni di tensione e incertezza. Tra giovedì e sabato il 22enne dovrebbe essere dimesso, pronto a tornare a casa per riprendere in mano il filo della sua vita, dopo quell’incubo sul terreno di gioco, nella gara contro l’Inter lo scorso 1° dicembre.
Dopo l’arresto cardiaco, Bove era entrato nella fase critica, con tutto il mondo del calcio, a partire da compagni, tifosi e avversari, in ansia per le sue condizioni. Eppure, passo dopo passo, grazie all’assistenza medica d’eccellenza, il ragazzo è uscito dalla fase di pericolo. Il malore è stato ricondotto a un problema di natura cardiaca, e gli approfondimenti diagnostici hanno tracciato un quadro più chiaro, sebbene complesso. Un’aritmia ventricolare, una cicatrice nel cuore lasciata da una miocardite superata nel 2020, un potassio nel sangue troppo basso: elementi che, combinati, hanno generato il cortocircuito di quella sera.
L’intervento di impianto del defibrillatore sottocutaneo è un passaggio cruciale per ottenere le dimissioni ospedaliere. Si tratta di un dispositivo salvavita che sarà fondamentale, almeno per un po’, nella vita di Bove. Un periodo di osservazione e riposo, poi tra due mesi toccherà a lui e ai medici decidere cosa fare: tenerlo, rimuoverlo o passare a una versione definitiva. Intanto, però, il primo obiettivo è stato raggiunto: Bove potrà lasciare l’ospedale e tornare alla sua quotidianità, pur con un apparecchio sottopelle a vegliare su ogni battito.
La domanda che in molti si fanno è: potrà tornare a giocare a calcio come prima? Le regole in Italia sono severe. Se Bove dovrà convivere permanentemente con il defibrillatore, il nostro Paese non gli consentirà di tornare in campo a livello professionistico. Un colpo duro per un giovane talento che era sul punto di spiccare il volo. Si aprirebbero, quindi, scenari all’estero, come già capitato a Christian Eriksen: il danese, dopo il dramma a Euro 2020, ha dovuto lasciare l’Inter proprio per la presenza di un defibrillatore cardiaco. Oggi corre e segna in Premier League, prima con il Brentford, poi con il Manchester United. L’esempio di Eriksen dice che nulla è impossibile: cambiando campionato, con normative meno restrittive, un giocatore con il defibrillatore può riprendere a calcare i campi che contano.
Edoardo Bove, per ora, non deve decidere nulla: è troppo presto, la priorità è rimettersi in piedi, riabbracciare amici, familiari e i compagni di squadra. E qui entra in scena la Fiorentina, il suo club, che lo aspetta a braccia aperte per un saluto, un gesto di affetto che forse non potrà essere accompagnato da promesse di una ripresa agonistica a breve termine. Dalla società viola filtra la massima discrezione, ma è chiaro che il giocatore non verrà forzato in alcun modo. La cosa importante è che stia bene.
Sul quadro medico si sono espressi vari esperti. Il professor Giacomo Mugnai, elettrofisiologo dell’Ospedale Borgo Trento di Verona, ha spiegato che nel caso di Bove si tratta di un’aritmia cardiaca complessa, un fenomeno per cui il sangue fatica ad arrivare correttamente agli organi. Le cause possono essere molteplici: il basso potassio, la miocardite pregressa. Il medico sottolinea quanto sia stato ridotto, negli ultimi anni, il rischio di morte sui campi da gioco grazie alla diffusione dei defibrillatori e all’educazione del personale, anche non sanitario, all’uso immediato di questi strumenti.
Massimo Grimaldi, presidente designato dell’Anmco (Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri), ha usato termini chiari: “Rimuovere un defibrillatore è una follia”. Secondo lui, quello impiantato a Bove non sarà tolto: se l’evento non è stato causato da un fattore rimovibile con sicurezza, il defibrillatore resta l’unica prevenzione secondaria. In parole povere, anche se Bove volesse eliminarlo in futuro, i medici glielo sconsiglierebbero fermamente. Sulla libertà di scelta del giocatore gravano le certezze della scienza, che parla di prevenzione e sicurezza prima di tutto.
Se questo vuol dire addio alla Serie A, potrebbe non significare addio al calcio giocato. Magari non subito, magari non sarà facile accettare di dover lasciarsi alle spalle l’Italia, ma la carriera di Eriksen insegna che nulla è perduto. Resta l’ostacolo delle normative differenti: ogni Paese ha la sua legislazione, ogni federazione le sue regole in tema di idoneità sportiva. L’estero, dunque, potrebbe rappresentare l’ancora di salvezza se Bove vorrà continuare la carriera a livello professionistico.
Nel frattempo, a Firenze, si festeggia almeno il fatto che il ragazzo stia bene e torni a casa. I tifosi viola, scossi dopo quell’infausto 1° dicembre, possono finalmente tirare un sospiro di sollievo. Il resto è tutto da vedere, un capitolo da scrivere con calma. Nei prossimi mesi, lo staff medico e lo stesso Bove decideranno la strategia: tentare il ritorno in campo all’estero o chiudere l’esperienza con il calcio a certi livelli. Sarà una decisione delicata, da non prendere a cuor leggero.
C’è anche un aspetto emotivo e psicologico: un ragazzo di 22 anni, con una carriera promettente davanti, che all’improvviso vede il suo futuro sportivo messo in discussione da un arresto cardiaco. Superare la paura, guardare avanti, trovare motivazioni, non sarà semplice. Ma l’affetto dei compagni, della società e dei tifosi sarà cruciale per aiutarlo a superare questo ostacolo. E poi c’è l’esempio di chi ci è passato prima: Eriksen ne è un faro, una prova vivente che non è finita finché non si decide che è finita.
A questo punto, ogni ipotesi sarebbe prematura. Prima bisogna aspettare i risultati di tutti i test, la terapia farmacologica e le analisi genetiche. Bove, in questi due mesi, potrà imparare a convivere con il defibrillatore, a capire cosa implica nella vita di tutti i giorni. Solo allora prenderà una decisione sul suo destino. La priorità resta la salute, ma se ci sarà uno spiraglio, la passione per il calcio potrebbe trovare nuovi sbocchi. In Italia le regole sono quelle, ma il mondo è grande: se Bove dovrà cercare una nuova casa calcistica oltre confine, potrebbe farlo con la consapevolezza di avere ancora tanto da dare e da imparare.
Nel frattempo, il 22enne viola potrà godersi la normalità: tornare a casa, ricevere il calore di chi gli vuole bene e ringraziare il destino di essere ancora qui, a progettare il futuro, che sia sul rettangolo verde o in un nuovo ruolo. L’importante è stare bene. Un passo alla volta.